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Taccuino e penna stilografica
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L’angoscia di un filo d'erba.

Un eterno, singolo filo d’erba, in un infinito prato, tra miliardi di altri fili, alla luce dello stesso enorme sole di tutti i suoi fratelli e sotto lo stesso splendido, universale cielo.

Un giorno, non si sa bene perché, si pose tre domande:


  • Ma io che ci faccio qui? Dove sto andando? Che senso ha tutto questo?


Da quel giorno le cose non furono più le stesse. Quelle domande lo assillarono, da quel dì in poi ogni secondo lo tormentavano e più ci pensava e più la risposta sembrava sfuggirgli, a volte cambiava, finanche a invertirsi del tutto, ma nulla, niente lo soddisfaceva. Cominciò a ripeterle ad alta voce, arrivando ad urlare al sole e alla luna sperando in una loro risposta, ma nulla, silenzio. Ad un certo punto però, da tutto intorno a lui, cominciarono ad arrivare infinite voci a sussurrargli migliaia di risposte, milioni di possibili spiegazioni.


Una voce soave sembrava dirgli:


  • Sei qui per diventare il filo più bello di tutti.

Un'altra:


  • Sei qui per servire il grande sole e gioire del suo calore.

E così molte altre:


  • Devi rimanere diritto e verde il più a lungo possibile…

  • Non devi permettere all’erba gialla di vincere…

  • Devi raggiungere la fine del prato e vedere cosa c’è oltre…

  • Non devi mai gioire troppo se alla fine vuoi fiorire…

  • Devi aiutare ogni altro filo d’erba…

  • Non devi essere dimenticato…

  • Devi trovare la tua dolce metà e amarvi…

  • Non devi…

  • Devi…

Tanti devi e non devi, tante visioni, ma una in particolare lo disturbava più di tutte, una vocina sommessa, sembrava più lontana delle altre ma la udiva chiaramente, e non riusciva a dimenticarla.


  • Nulla ha un senso… figlio del caos.

Quelle parole più delle altre, gli davano da pensare, il resto lo avrebbe potuto accettare, preservare il proprio verde, combattere le erbe di un altro colore, viaggiare, aiutare, odiare, amare, ma che nulla avesse senso no.

Non lo voleva accettare.


Se così fosse allora che senso ha tutto, perché ogni giorno si dovrebbe sforzare di prendere il sole, di assorbire l'acqua, di sopravvivere al vento, al freddo, perché.

Eppure, non riusciva a smettere di pensarci.


Le ere passarono, e quel singolo filo d’erba continuò la sua incessante ricerca, volse lo sguardo al cielo, lo osservò così a lungo da vederlo mutare, vide nella sua immensità come tutto si crea e si distrugge senza eccezione alcuna e capì, che prima o poi sarebbe accaduto anche a lui.


Un altro di quei tristi pensieri si formò nella sua mente.


"Non ho tempo, prima o poi qualunque sia la risposta a quelle dannate domande, sia che io la trovi o meno, sia che segua le voci o meno, sia che la fine sia un nuovo inizio o meno, un giorno sparirò da questo prato…"


Cominciò ad odiare il cielo per quel nuovo oscuro segreto che gli aveva svelato, altro che le risposte che lui cercava, ma non riuscì a smettere di guardarlo, in fondo era comunque uno spettacolo stupendo.


Le stelle nascevano dal nulla, o quasi, e intorno a loro si creavano pianeti e lune, a volte addirittura altri prati, per poi tornare a disgregarsi, uno spettacolo, un vorticare continuo di materia che dà vita ad altra materia, che muta e trasmuta per poi tornare alle sue origini e poi cambiare ancora, un infinito ciclo.


Però aspetta, si disse il filo, non vedo uno schema in questo cambiamento continuo, guarda bene, tutto accade per la somma di infinite cose che sbattono una contro l’altra completamente a caso, un po' come quando cadono le gocce di pioggia, a caso, come quando arriva la goccia proprio nel punto giusto e lo rende più forte e bello, così alcune cose sbattono nel modo “giusto” e semplicemente creano altre cose.


Quindi il prato, su cui sono, prima forse era altro, che sbattendo contro altre cose è diventato il prato, e noi ci cresciamo sopra solo perché altre cose su questo prato si sono scontrate e incontrate fino a creare noi.


È in un turbinio di caos e casualità che tutto ciò si è creato?


Quindi… Sono figlio del caos…?


"Nulla ha senso… figlio del caos."


Quella frase, forse forse, non era così priva di senso.


Quindi nulla aveva senso, era lì per caso, solo insieme ad altri miliardi come lui, in quel punto del prato, a pensare quelle cose per una specie di combinazione fortunata dell’universo.

Un po' di panico misto a rassegnazione e tristezza lo accompagnò mentre questi pensieri si facevano strada nella sua anima.

Non serve seguire il grande sole, né venerare la luna, né aiutare, né amare, nell’ultimo istante, tutto verrà dimenticato, tutto cesserà di esistere, e sarà come se nulla sia mai esistito. Tornerà il vuoto, e dopo il vuoto forse un altro prato, e nessuno saprà del precedente o del successivo, in un circolo infinito di insensatezza e caos…"


Basta, inutile sforzarsi allora.


I giorni successivi furono tristi, non importava che splendesse il sole o che piovesse, che il vento lo sferzasse o che la neve lo seppellisse, non importava neppure quando la neve si scioglieva e il sole tornava a rinvigorire il mondo.


Nulla ha senso, siamo tutti vittime del caos.


Aspetta… qualcosa non torna.


La frase non era così.

Ma tanto era solo una delle tante voci, una delle tante mezze verità e risposte che le moltitudini avevano trovato, non importava la forma.

Però gli suonava diversamente, come se le parole cambiassero il significato del cosmo, come se il solo pronunciare quel concetto in modo diverso rendesse diverso tutto…


Nulla ha senso… siamo figli del caos.


Figli… non vittime.


Non capiva, non capiva perché gli sembrava così diverso.


Spostò lo sguardo dal cielo all’orizzonte, osservò così che vi era un altro universo, più vivo, più vicino, lì ogni cosa aveva figli, e ogni figlio era un dono, un prodotto dell’incontro di qualcosa.

Ogni figlio portava con sé qualcosa dei predecessori, dai ricordi, alle strutture, dal colore, al pensiero e si mischiavano nel turbino della vita, nel caos che anche qui regna. I figli hanno la responsabilità di sopravvivere ed esistere, per protrarre l’esistenza… quindi questo potrebbe essere un senso.


Esisto per permettere al futuro di esistere, il frutto del mio caos darà vita alla prossima esistenza.


Non lo convinceva, anzi lo rattristava un po', si sentiva un onere addosso, un peso.


"Nulla ha senso, siamo figli del caos, abbiamo la responsabilità di esistere, ma comunque un giorno tutto terminerà…"


Ed ecco un nuovo sentimento faceva capolino nella sua mente, cupo e doloroso, l’angoscia.


I giorni passavano, i mesi, gli anni, le ere, e quel sentimento lo accompagnava, non costantemente, ma ogni volta e accadeva spesso, ogni volta che cascava in quel flusso di pensieri tormentati, l’angoscia tornava più forte di prima.


Però qualcosa di bello gli era rimasto.


Tra cielo e orizzonte aveva trovato un palcoscenico infinito, spettacolare, colmo di storie e distrazioni, ogni tanto, quando era fortunato, riuscivano a distrarlo abbastanza a lungo da dimenticare per un po' tutto. In quei momenti si alleggeriva.


Un giorno poi, il suo sguardo cadde su una farfalla che volava lì vicino, bastava osservarla per percepire la sua grande felicità, la sua spensieratezza; volava in giro come se un giorno le sue ali non fossero destinate a cadere e avvizzire, si destreggiava in aria ridendo come se il tempo non le importasse. Continuò a volare per giorni, fino a quando il destino non la chiamò a sé, allora, ancora ridendo, cadde.


"Povera vita sprecata, non si è mai nemmeno resa conto che sarebbe successo, ha passato la vita a ridere, senza cercare nulla né comprendere nulla ed ha sprecato la sua esistenza, cadendo tra le risa della sua ignoranza, se sapesse…"


Già, se sapesse…


Ma lei non sapeva… o forse non le importava...


L’angoscia si fece più lieve, chissà perché…


Un pensiero si solidificò, che lei avesse saputo o meno poco cambiava; quel giorno sarebbe arrivato, ma lei ha riso, volato, dimenato le ali, senza chiedersi nulla né porsi quesiti, è andata incontro al suo destino felice, e piena di ricordi felici.


Nessuno ricorderà ciò che lei pensava, o ciò che lei ha fatto, ma almeno ha riso durante tutta la sua esistenza, nulla è cambiato e probabilmente poco sarebbe cambiato a prescindere da tutto, ma era felice ogni giorno.


Nulla ha senso.


Vero, ma se nulla ha senso, allora solo una cosa ha senso…


Si disse il filo d’erba, io ho senso per me stesso, io sono figlio del caos e io stesso sono caos, ho il dovere di esistere perché esisto, tanto vale esistere ridendo e godendo del calore del sole così come del fresco della notte o dell’acqua della pioggia o del silenzio della neve.


Se nulla ha senso, sono libero, sono libero di scegliere di essere felice e basta.


Da quel giorno le cose migliorarono, il filo d’erba si sentiva raggiante, splendente, e passava il tempo ad ammirare lo scorrere della vita intorno a lui, godendo di ogni raggio di sole, goccia di pioggia e alito di vento. Finalmente era libero e felice.


Poi però iniziò la fine.


Una spaventosa tempesta colpì il prato, per quanto si sforzasse, il filo d’erba non riusciva a essere felice, la paura, il freddo, la troppa acqua lo debilitarono. Anche il suo animo si fiaccò.


Sentì una sua vecchia amica bussare alle porte della sua mente. L’angoscia.


"Morirò, non posso fare nulla."


Quando sembrava che il peggio stesse per arrivare ecco che tornò a splendere il sole.

Il filo d’erba fu enormemente grato, non era più in pericolo e poteva tornare ad essere felice, tutto andava bene. Anche se un nuovo pensiero, una nuova consapevolezza aveva fatto capolino.


"Ho provato ad essere felice, ci ho provato con tutto me stesso, ma in quella tempesta non avevo il controllo, non potevo essere felice, non ero libero."


Quindi si sbagliava…


Altre ere passarono e tempeste e sole si alternarono nel tempo, lasciando sempre più spazio alla tempesta. Il filo d’erba sapeva che quello era il modo in cui il suo universo gli stava dicendo che non era infinitamente imperituro.


Ma nel cerchio dell'esistenza, nell’alternarsi di angoscia e felicità, di pioggia e sole alla fine, il filo d’erba si convinse di aver capito.


Nulla ha senso, siamo figli del caos e siamo il caos, sue vittime e suoi artefici, cerchiamo di esistere al meglio che possiamo affinché, quando la tempesta calerà, potremo dire che il viaggio ne sia valsa la pena.


Nulla ha senso… siamo figli del caos.


La sua voce alla fine, come un sussurro lontano, si unì alle infinite altre voci del prato.





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